Alle elezioni del Presidente della Repubblica del 1962, Saragat era stato, sino all’ultimo, l’avversario più temibile per Antonio Segni. Presentato come candidato di bandiera del PSDI, era riuscito a far confluire sul suo nome anche i voti del PSI (a partire dal 2º scrutinio) e poi quelli del PCI (dal 3º in poi). Era stato sconfitto solo grazie all’appoggio determinante, in favore di Segni, dei voti della destra monarchica e neofascista.
E’ IL SUO TURNO. Al primo turno delle successive elezioni del 1964, Saragat fu presentato come candidato comune dei due partiti socialisti, mentre la DC e il PCI avevano puntato, rispettivamente, su Giovanni Leone e Umberto Terracini. Emerse quasi subito, tuttavia, una candidatura alternativa in casa democristiana, quella di Amintore Fanfani, che diventò progressivamente sempre più consistente. Dopo sette turni infruttuosi, i due partiti socialisti, vista la temporanea impossibilità di una candidatura comune della maggioranza di centro-sinistra, decisero di astenersi. Al 10º scrutinio i socialisti del PSI cominciarono a votare per Pietro Nenni che, a partire dal 13º, divenne il candidato comune anche di PSDI e PCI; nel frattempo, Fanfani si ritirava dalla contesa. Dopo 15 scrutini, si ritirò anche Giovanni Leone e, al 18º, ci fu l’accordo tra democristiani e socialdemocratici per votare Saragat, mentre PCI e PSI continuavano a sostenere Nenni.
Infine, dopo tre votazioni nelle quali i leader dei due partiti socialisti si erano affrontati in uno scontro quasi “fratricida”, Nenni chiese ai parlamentari che lo supportavano di far confluire i propri voti a quelli dell’eterno “amico-rivale”. VENTUNESIMO SCRUTINIO. Giuseppe Saragat fu così eletto Presidente della Repubblica Italiana, il 28 dicembre 1964, al ventunesimo scrutinio, con 646 voti su 963 componenti l’assemblea (67,1%), in quella che, sino ad allora, era stata l’elezione più contrastata alla massima carica dello Stato.
ANTIFANFANI. Durante il mandato, Saragat, apertamente atlantista, ebbe a scontrarsi con la politica pro-araba di Amintore Fanfani, che gli era succeduto al Ministero degli Esteri. Fanfani, consapevole dell’esigenza di evitare che i paesi arabi cercassero protezione a Mosca, stava dando l’impressione di lavorare per l’uscita dell’Italia dall’Alleanza atlantica, soprattutto allo scoppio della “Guerra dei sei giorni” (1967), nella quale gli Stati Uniti avevano assunto una posizione filo-israeliana e contraria al nazionalismo arabo. Ne risultò, in politica estera, una specie di diarchia che finì per essere neutralizzata solo dalla prudenza del Presidente del Consiglio Aldo Moro.
Socialista liberale, Saragat è considerato il padre della dottrina socialdemocratica italiana. Tuttavia, in luogo dell’aggettivo “socialdemocratico”, egli preferiva usare, per descrivere sé stesso, la definizione di socialista democratico. Riformista, egli accettò l’adesione dell’Italia all’alleanza occidentale (fu favorevole al Piano Marshall e all’ingresso dell’Italia nella NATO); Saragat era convinto che la socialdemocrazia potesse essere politicamente un valore aggiunto e che avrebbe potuto avere una posizione elettoralmente egemonica, come del resto avveniva nei paesi del nord-Europa.